egli lo può drammatizzare e sintetizzare. Il compito di interpretare il fato sarà dunque quello di misurare tutte le nostre facoltà nella concrezione tecnica del tempo, di ricostituire un corpo che negli erlebnisse astrae, oblia ed aderisce virtualmente alla concrezione ora tecnologica della temporalità; dunque la domina solo dopo averla mimata religiosamente. Questo sentimento tragico ed elegante delinea una esplicita condizione teologica di caduta che l’epoca detta e Marinetti instilla.
Articolo 9: “Nous voulons glorifier la guerre, seule hygiène du monde, le militarisme, le patriottisme, le geste destructeur des anarchistes, le belles Idées qui tuent et le mépris de la femme”. Il registro decadente e dannunziano delle belle idee era già esaurito allora, Marinetti converte il concetto di “belles idées” al verbo tuer, al significato del sacrificio per l’opinione, non dell’assassinio. La glorificazione della guerra loda la condizione del presentimento, non instilla odio ma coraggio. Marinetti nel 1915 pubblica una sequela di articoli e manifesti in forma di libro, in realtà è un libello composto di tanti libelli intorno all’essenza vissuta (1909-15) dell’articolo 9 del Manifesto: Guerra sola igiene del mondo (scopo propaganda). Marinetti ricorda subito il carattere sibillino del Manifesto e che la “Formula” gli fu imposta quando gli strumenti consueti non bastavano più. Il libellum, come si sa, non è scrittura bensì forma tattica di una strategia scritturale e teologica non esponibile perché sacra, meditativa o filosofica; il libellum difende o lede la Maestà, ma non contiene il codice di diritto di questa Maestà. La moltiplicazione delle copie verificata dalla tecnica tipografica alla fine del XV secolo, fu l’oggetto acuto di riflessione del simbolismo di Mallarmé, Rodenbach, Jarry, Kahn. L’incapacità dei simbolisti di pervenire di nuovo, perfettamente, alla sacralità della scrittura, farà sì che il libello, tipograficamente rifuso dal verso libero, riacquisterà il fine di difesa di una Maestà (corona di una res pubblica “futurista”); il libello lega alla penitenza e tocca il male accusandolo. Nella tradizione tollerante di Erasmo, Serveto, Pascal, Bayle e Rousseau la lotta strenua fu quella di testimoniare l’errore confessandolo per mezzo del libellum (satira, versi in rima, trattati, dialoghi, pseudonimi). Il libellum è, d’altra parte, efficace in una tradizione di esseri ascetici, religiosi in questo culto supremo e continuo, consapevoli di una loro gradualità la quale sussiste finché viene esercitata in una reale superiorità dell’intelletto, prudente stoicismo, ancor più umile se brutale e rumoroso. Il libellum (manifesto) è infatti l’unica arma di Marinetti e in quella forma (non genere letterario) deve essere letto. Questo tratto è stato imitato in modo intellettuale dalle avanguardie successive sebbene a mio giudizio solo in Russia e in Germania (suprematismo ed espressionismo) sia stato colto e realizzato
in pieno il valore titanico ed esplosivo del libellum. L’esercizio reale di questa arma ha garantito seriamente, non solo il diritto alla libertà di espressione (senza odio di classe) che è un magro effetto che oggi andiamo a vedere esposto nella sua vivacità museale, bensì ha protetto e garantito il principio sovrano della Tollerantia: accusa al pubblico (da cui reazione) interesse a modellare e conservare il fragile cerchio dell’amichevole civiltà, sentimento di equilibrio, possibile ed iniziatica mèta di un ascoltatore convertito che ignorava il purificante diritto alla propria libertà di individuo obbediente. Ma voglio ulteriormente insistere sul carattere classico dell’iniziazione come legge dell’ospitalità ergo tolleranza. La fonte principale in Marinetti, cosa evidente, la si percepisce in Baudelaire [10] e nel suo filosofico nuovo senso del diritto individuale a sua volta da me proposto nella bella glossa all’epistola LXXXVIII di Seneca che suona:
Scire si licet, quae debes subire
Et non subire: pulchrumsit scire
sed si subire oportet, quae licet scire
Quorsumscire? namdebes subire.