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Belle o nere dorata colpa aprici

Il titolo RREBISS fu stabilito nel 1972 come parola mitografica o eroica interna al monologo interiore continuo relativo alla figura e carattere inaudito di Alberto Cappa (1903 -1943) e che significa RREBISS, una visitazione duplice e una certezza per superare le due sponde che hanno oppresso l’Italia degli anni ‘70 del 900. Davanti al paradigma dell’assassinio di Pasolini, questa opera di Clerici si estende da quegli anni oppressivi fino ai nostri anni contemporanei tirando una linea dritta che fa apparire la maschera di Cappa, volontario sul fronte del Don e scomparso, prigioniero e volontario.

Alberto Cappa, della famiglia Marinetti, rappresenta dunque l’ombra continua a quello che Pasolini definì nei suoi film la tortura barbara e il dramma della resistenza all’oscurantismo mediatico antropologico contro il carattere italiano, come scrisse Marinetti, l’esercito italiano, una maschera, quella di Cappa, che sfugge alle classificazioni della sociologia dei vinti e dei vincitori. In breve, una apparizione che fa ombra alla categoria del traditore.

Questa opera intercalata da strofe sibilline o stati onirici legati a un archivio di lettere e documenti degli anni 20, 30, 40, eredità dell’archivio Cappa, mostrano in una sorta di fiume la brutalità insignificante del gergo burocratico idealista (intellettuali, editori, opportunisti, vigliacchi...) vivificato da un atto simbolico e mitico di un carattere italiano, clemente, solitario, vincente, che si commette tramite un excursus fotografico e allegorico alla unicità di una voce RREBISS, alla veste detracta del modo militare e lirico, ciò che Musil, Malaparte, Drieu La Rochelle, Benn... Rilke ovvero Gabriele D’Annunzio, madre di vari lirismi dalmatici, liturgici, celebrativi, che si risolvono nella perfetta drammaturgia del Vittoriale sul lago di Garda, davanti all’isola Borghese, dimora della drammaturgia di Alberto Cappa e della sua distante nostalgia di morte che ripete all’infinito RREBISS.

Opera di 331 pagine con collage fotografici allegorici.

1995, nell’opera di Leonardo Clerici, Alberto Asquini TRICE- SIMO...

1995, nell’opera di Leonardo Clerici, Alberto Asquini TRICE- SIMO, ragionamenti e udienze 1894/1946, almanacco e archivio anastatico alla fine del codice d’archivio, appare la parola MINIE- RA STANCA, Marinetti e i futuristi nemici delle nature morte e della MANIERA, MINIERA, STANCA reiterano sulla pagina del Corriere della Sera 3 maggio 1944 con una dedica a Benito Mussolini, l’amico aeropoeta futurista che odia la miniera stanca, ad un articolo di Dino Buzzati, che dice fra l’altro: pareva che quei personaggi, paesi, poetici incanti avessero perso la VOCE, fino a ieri avevano ancora tanto da dire, ed ora muti... ma alle loro parole la gente era sorda... la guerra aveva dunque scavato anche qui facendo sprofondare in silenzio e all’insaputa del mondo la miniera ISTERI- LITÀ... I molti geniali linguaggi che per decenni andavano prometten- do capolavori... che in mezzo agli esausti fascini dei valori catalogati esista già un quadro, una pagina, un pezzetto di musica con dentro il grande segreto? ... Oppure la nuova voce è sorta in luogo così lontano che non ha fatto in tempo ad arrivarci? O deve ancora nascondersi e aspettare nel buio?

Marinetti scrive: L’Italia, terra adorata sopra ogni adorazione adorare l’Italia... Nel filo rosso di Giulia Maria Crespi testimone dell’amicizia con Dino Buzzati e di un Corriere della Sera dop- piamente violentato si finisce per confondere la poltrona di via Solferino dove arrivò Ugo Ojetti con la completa ignoranza del futurismo associandolo, in modo originale, all’esposizione di Picasso al Palazzo Reale di Milano nel 1953: Guernica. Sarei interessato a sapere cosa ne è delle nature morte della Crespi in rapporto alla oppressione subita dalla nostra generazione con l’assassinio di Pasolini, portato sulle ali degli articoli del Corriere della Sera, non troppo lontani dalla miniera stanca di Buzzati e dalla resistenza (durare adorare) italiana all’invasore. La Cres- pi, Pasolini, Buzzati, Marinetti si trovano nella trama di questa mia opera RREBISS il cui sigillo si snoda oggi, se ritorno, al 1972 quando sull’idea dell’archeologo Carandini (l’ultimo della classe) della famiglia di Torre in Pietra, Albertini, i cui echi del Corriere della Sera si spengono con una archeologia o maniera stanca o miniera stanca, apparentemente libera e liberale, che constatai in quell’epoca, come pusillanime patriottismo sen- za più radici.

 

Il titolo RREBISS fu stabilito nel 1972 come parola mitografica o eroica interna al monologo interiore continuo relativo alla figura e carattere inaudito di Alberto Cappa (1903 -1943) e che significa RREBISS, una visitazione duplice e una certezza per superare le due sponde che hanno oppresso l’Italia degli anni ‘70 del 900. Davanti al paradigma dell’assassinio di Pasolini, questa opera di Clerici si estende da quegli anni oppressivi fino ai nostri anni contemporanei tirando una linea dritta che fa apparire la maschera di Cappa, volontario sul fronte del Don e scomparso, prigioniero e volontario.

Alberto Cappa, della famiglia Marinetti, rappresenta dunque l’ombra continua a quello che Pasolini definì nei suoi film la tortura barbara e il dramma della resistenza all’oscurantismo mediatico antropologico contro il carattere italiano, come scrisse Marinetti, l’esercito italiano, una maschera, quella di Cappa, che sfugge alle classificazioni della sociologia dei vinti e dei vincitori. In breve, una apparizione che fa ombra alla categoria del traditore.

Questa opera intercalata da strofe sibilline o stati onirici legati a un archivio di lettere e documenti degli anni 20, 30, 40, eredità dell’archivio Cappa, mostrano in una sorta di fiume la brutalità insignificante del gergo burocratico idealista (intellettuali, editori, opportunisti, vigliacchi...) vivificato da un atto simbolico e mitico di un carattere italiano, clemente, solitario, vincente, che si commette tramite un excursus fotografico e allegorico alla unicità di una voce RREBISS, alla veste detracta del modo militare e lirico, ciò che Musil, Malaparte, Drieu La Rochelle, Benn... Rilke ovvero Gabriele D’Annunzio, madre di vari lirismi dalmatici, liturgici, celebrativi, che si risolvono nella perfetta drammaturgia del Vittoriale sul lago di Garda, davanti all’isola Borghese, dimora della drammaturgia di Alberto Cappa e della sua distante nostalgia di morte che ripete all’infinito RREBISS.

Opera di 331 pagine con collage fotografici allegorici.

1995, nell’opera di Leonardo Clerici, Alberto Asquini TRICE- SIMO...

1995, nell’opera di Leonardo Clerici, Alberto Asquini TRICE- SIMO, ragionamenti e udienze 1894/1946, almanacco e archivio anastatico alla fine del codice d’archivio, appare la parola MINIE- RA STANCA, Marinetti e i futuristi nemici delle nature morte e della MANIERA, MINIERA, STANCA reiterano sulla pagina del Corriere della Sera 3 maggio 1944 con una dedica a Benito Mussolini, l’amico aeropoeta futurista che odia la miniera stanca, ad un articolo di Dino Buzzati, che dice fra l’altro: pareva che quei personaggi, paesi, poetici incanti avessero perso la VOCE, fino a ieri avevano ancora tanto da dire, ed ora muti... ma alle loro parole la gente era sorda... la guerra aveva dunque scavato anche qui facendo sprofondare in silenzio e all’insaputa del mondo la miniera ISTERI- LITÀ... I molti geniali linguaggi che per decenni andavano prometten- do capolavori... che in mezzo agli esausti fascini dei valori catalogati esista già un quadro, una pagina, un pezzetto di musica con dentro il grande segreto? ... Oppure la nuova voce è sorta in luogo così lontano che non ha fatto in tempo ad arrivarci? O deve ancora nascondersi e aspettare nel buio?

Marinetti scrive: L’Italia, terra adorata sopra ogni adorazione adorare l’Italia... Nel filo rosso di Giulia Maria Crespi testimone dell’amicizia con Dino Buzzati e di un Corriere della Sera dop- piamente violentato si finisce per confondere la poltrona di via Solferino dove arrivò Ugo Ojetti con la completa ignoranza del futurismo associandolo, in modo originale, all’esposizione di Picasso al Palazzo Reale di Milano nel 1953: Guernica. Sarei interessato a sapere cosa ne è delle nature morte della Crespi in rapporto alla oppressione subita dalla nostra generazione con l’assassinio di Pasolini, portato sulle ali degli articoli del Corriere della Sera, non troppo lontani dalla miniera stanca di Buzzati e dalla resistenza (durare adorare) italiana all’invasore. La Cres- pi, Pasolini, Buzzati, Marinetti si trovano nella trama di questa mia opera RREBISS il cui sigillo si snoda oggi, se ritorno, al 1972 quando sull’idea dell’archeologo Carandini (l’ultimo della classe) della famiglia di Torre in Pietra, Albertini, i cui echi del Corriere della Sera si spengono con una archeologia o maniera stanca o miniera stanca, apparentemente libera e liberale, che constatai in quell’epoca, come pusillanime patriottismo sen- za più radici.

 

Il titolo RREBISS fu stabilito nel 1972 come parola mitografica o eroica interna al monologo interiore continuo relativo alla figura e carattere inaudito di Alberto Cappa (1903 -1943) e che significa RREBISS,..