Arti liberali e diritto dell’individuo in F. T.Marinetti

Leonardo Clerici

[01] Georges Sorel, Réflexions zar la violente, M. Riviere, Parigi 1910, II ed.

[02] Alfred Jarry, Albert Samain, Souvenirs, Lemasle, Parigi 1907.

[03] Non è fuor di luogo illustrare un aspetto grammaticale che lega irrevocabilmente il destino della generazione simbolista del 1892. Sul “Figaro littéraire” del 6 maggio 1950, apparvero postumi Trois contes inédits de Valéry: “Quoique son ile filt déserte / il mit une piume à son chàpeau, / il lui semblait qu’i1 créait / par là quelqu’un qui regardàt / la piume”. Questa proposizione emblematica e conclu-sa ritorna variata nel pensieo scritto di un’Amazzone che reitera un “je pense” comprendendosi e mi- surandosi nell’écran di un’“Elle, Ile cubique, Rachel”. Robinson di Valéry si conclude intorno all’enigma del “Solide” pietrificato nell’anno MDCCCXCII. Unità d’intelletto nell’emblema di una volontà generale verso una fonte fissa, rende costante ed amorfa qualsiasi riflessione che trascorra riell’oéd. Nel 1926 Valery ritornerà su questo oéi! definendo “le Noir” di Tante Berthe (Berthe Morisot, la pittrice): “C’est à quoi j’en voulais venir, à ses yeux. Il ne peut qu’il ne voie ce à quoi il songe, et songe ce qu’il voit”. Lo charme moderne del Noir, autorizzato da Baudelaire, trapassa nella conversazione tra Mallarmé e Zola nel 1876 al Grenier de Goncourt. Valéry eleva in un suo saggio, le Noir al MANET et MANE- BIT, titolo ed essenza quotidiana del pittore. Nell’opera postuma e ancora “Medita” di Alfred Jarry, Gestes et opinions du doeteur Faustroll, (collage cleisonniste et cubique) al III libro si trova iI titolo: De Paris à Paris par mer ozi le Robinson belge. L’olimpo simbolista si apre e si chiude all’ombra del Mercure di Vallette e Rachilde. Ogni titolo essenzializza la silhouette d’esistenza simbolica di ogni nome di persona. Attraverso una biografia della cifra Jarry arnese la cifra e domina criticamente i destini letterari della sua generazione. Nella dedica a Gustave Kahn, che precede quella a Mallarmé, il titolo porta: du chiiteau-errant qui est une yonque. Tocchi di “gong” e bevute di “skhiedam et des bières amères” marcano “les heures sonnées par des timbres de tour les métaux” fino al momento “laconique, le chàteau croula et mourut, et reparut miré dans le ciel, des lieues plus loin, la grande jonque éraillant le feu du sable”. Nel libro seguente, Jarry comincia con il nome di persona Paul Valéry, nel capitolo assai eloquente Céphalorgie. De la marée terrestre ei de l’évéque marin mensonger: “Or il était midi, l’étroitesse de la ruelle deserte comme un intestin à jetin, et nous faisons relàche, inscrivaient les chiffres des murs, devant la guaire mille quatrième maison de la rue de Venise... je fus assez peu surpris de la surrection, au seuil d’un des plus ras et bas bouges, d’un homme marin distrait du treizième livre, celui des Monstres, d’Aldrovandus...” (Cfr. Paul Valéry, Aumbiographie con commento letterale a cura di A. Lo Giudice, Bulzoni, Roma 1983). Paul Valéry, nel 1932, promise all’editore e amico fedele di Jarry, Jean Saltas, una “Preface” alla nuova edizione dei Minutes de sable mémorial. Valéry gli disse: “Je lui dois cela”. Si può ben dire che la “Préface” consista in questa breve proposizione di confessione che reitera il fonema lucido e memoriale della logica “ILE” (Je lui, dois cela) ed amplifica peraltro l’essenza del Robinson nella sua piume. Nell’ululato fonetico che reitera il suono di una “materia d’essenze”, drammatizzata nella Mio del tempo della vita, l’ébauche del Fatui di Valéry, ultima stesura del solito “abisso d’ébauche”, perviene ad un linguaggio di pure essenze eloquenti in virtù di una tradizione sensibile di fonte, comune ai simbolisti. Il revolver di Jarry o di Marinetti, l’onomatopea futurista, suprematista o espressionista impongono tutte la stessa essenza e lo stesso stile neo-vulgare. Valéry ricordò in quella occasione a Saltas un passo dei Minutes di Jarry: “Regularité de la Chasse: c’est le bal de l’abime où l’amoor est sans fin / Et la danse vous noie en sa houleuse alcnve”. Il concetto supremamente faustiano di impressione-espressione (questione dell’epoca della tipografia e della variazione dogmatica della tecnica scritturale adottata) venne portato da Jarry, a Parigi, alle estreme e circolari conseguenze in relazione ad un quadro di fonti erudite e bibliofile (Charles Nodier, Töpfer, Cooper, ecc.) che costituiva il campo di esercizio del pensare simbolisticamente. La rivista di Jarry “Perhinderion”, teorizza per esempio la riproduzione delle ineilles planches con la “photogravure sur des originaux” (teoria dell’affiche e dell’interlinea in G. Rodenbach, maestro di Marinetti) e il reperimento dei caratteri tipografici di Sebastian Munster (ebraista della scuola cattolica anglosassone di Erasmo e del cardinale Fisher) rivisitate e dunque riedite attraverso le planches del Durero “dont voici aujourd’hui Jésus presenté au peupie”. Una religione dell’intelletto che domina e rivede la tecnica di immagine per riaprire ad una devozione arcaica e vulgare l’antica reliquia scritturale del nome del “Christus”. Linea di una ragione erasmiana (patristica cattolica), budeana e rabelaisiana (lingua volgare e filosofica) inseguita e più o meno consciamente realizzata in una mimesi letteraria di “refugiés” riformati e calvinisti della “dragonne”, ultima nobiltà équestre che vide in Bayle il grande erede del martirio (“geste et atte”) di un Cristo; puro intelletto ormai sentimento di una Tollerantia che passa attraverso la lotta dell’opinione più armonica e potente. Questa linea, qui solo accennata, si congiunge proprio in quell’eroismo povero e incomunicabile evocato dall’esercizio, sopra i limiti della norma; pittura o verbo la cui lettera sarà quella di “fixer la silhouette, l’essente de l’objet qu’il s’impose... le trait esprime ce y a de permanent... le caractère de l’objet (CLOISONNISME)”. (Cfr. anche Natalie Clifford Barney, Pensée d’une amarene, s.e., Parigi 1921: Ce qu’ils en pensent: Remy de Gourmont, Jean de Gourmont, Anatole France... Bara Pound — utilizzazione del verso libero ed ideogramma confuciano del Fenollosa, nell’epica dei Cantos —, Charles Rappoport, Laurent Tailhade ecc.). Non sarà inopportuna la notizia bibliofila circa l’edizione critica del “Faustbuch”, pubblicata nella fatidica data del 1892 a cura dell’erudito bibliotecario Gustave Milchsach, sul manoscritto reperito negli archivi di Woifenbuttel. Tutta l’Europa, e soprattutto la Russia con la ripresa forte dell’antiqua devotio “raskol” (che risaliva al martirio dell’arciprete Awakum, colonna nella lingua sapiente e sem- plice della taumaturgia liturgica sul demone cirillico e cristiano) tentò fino al 1916, un risveglio ad una razionalità (nuovo demo futuro) e convenzione ove la caratterialità di ogni singolo individuo fosse identica alla sua “patria” ma libera nell’arbitrare sui morti, morti per sempre. In breve, ho voluto mostrare un aspetto bibliologico del termine “ILE”, facilmente associabile al- l’aristotelica NC., parallela alla grande speculazione husserliana, conclusa nel 1938, la quale trova nelle sue articolazioni intenzionali e morfematiche alle “cose stesse” come idee, un ambito costantemente riconducibile ad una regola scritturale osservata dogmaticamente tramite un’enorme adeguazione (ridu- zione) ortografica alla temporalità, fenomeno che impera purezza per giustificare l’elementare “sable mémorial”.

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